Editoriale

All you can eat (and drink)

L. Monge

JAMD 2019;22(4):176-177

Research article

Storia naturale e fattori di rischio di nefropatia diabetica in Italia: dati degli Annali AMD

P. Piscitelli, R. Pontremoli, F. Viazzi, A. Ceriello, P. Fioretto, C. Giorda, G. Russo, S. De Cosmo

JAMD 2019;22(4):178-184

Soggetti affetti da diabete mellito hanno un rischio molto elevato di sviluppare la complicanza renale. La presenza di nefropatia non solo rappresenta un fattore di rischio di progressione verso l’insufficienza renale terminale, ma è associata anche ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari maggiori. La disponibilità di un grande database clinico ampiamente rappresentativo della pratica clinica diabetologica nel nostro Paese ci ha permesso di conoscere molti aspetti epidemiologici della complicanza renale in Italia, compresi i più rilevanti fattori di rischio. È emerso peraltro, come il danno renale non-albuminurico sia il fenotipo clinico predominante. Pur associato a un minor rischio di progressione della malattia renale rispetto all’albuminuria conclamata, contribuisce significativamente all’insorgenza della malattia renale terminale. Si è potuto inoltre documentare il ruolo del controllo glicemico e come il controllo ottimale della pressione arteriosa fornisca una protezione renale significativa. Infine, abbiamo documentato che l’iperuricemia e la dislipidemia aterogena sono forti predittori indipendenti d’insorgenza di malattia renale cronica nel diabete, benché i meccanismi patogenetici alla base di queste associazioni rimangano ancora incerti. Questi studi ci hanno permesso di meglio comprendere la storia naturale della malattia renale cronica nei pazienti con diabete tipo 2 e ci hanno fornito importanti indicazioni per la realizzazione futura di studi interventistici.

PAROLE CHIAVE albuminuria; filtrato glomerulare; ipertensione arteriosa; acido urico; diabete mellito tipo 2.

Trasferibilità dei CVOT EMPA-REG OUTCOME e LEADER nel mondo reale: lo scenario italiano

A. Da Porto , V. Manicardi, E. Manicardi, A. Aglialoro, P. Di Bartolo, R. Fornengo, A. Nicolucci, A. Rocca, M.C. Rossi, G. Russo

JAMD 2019;22(4):185-196

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morbilità e mortalità nelle persone con diabete (DM). Fortunatamente i dati provenienti dai grandi cardiovascular outcome trial (CVOT) hanno aperto scenari sino a pochi anni fa impensabili e la ricerca scientifica ha fornito al diabetologo delle armi molto efficaci (SGLT2i;GLP1-RA) per combattere le malattie cardiovascolari nei pazienti con diabete. Le potenzialità delle nuove molecole non vengono tuttavia sfruttate al massimo dai diabetologi italiani. Le dimensioni di questo “sottoutilizzo” e le motivazioni che lo sostengono non sono ben chiare. L’iniziativa Annali AMD può fornire importanti informazioni a questo riguardo, grazie alla disponibilità di un grande database ampiamente rappresentativo della pratica clinica specialistica nel nostro Paese. In questo studio tali dati sono stati utilizzati per quantificare la proporzione di pazienti del mondo reale potenzialmente eleggibili per gli studi EMPA-REG OUTCOME e LEADER, le percentuali di pazienti attualmente in terapia con farmaci appartenenti alle classi degli SGLT2ie dei GLP1 RA, ed il potenziale impatto derivante dall’utilizzo di questi trattamenti in tutti i pazienti eleggibili. Le caratteristiche socio-demografiche e cliniche dei pazienti potenzialmente eleggibili per i due trials, sono state confrontate con quelle dei pazienti che non rientravano nei criteri di eleggibilità mediante Mann-Whitney U test o il test del chi quadrato. Le riduzioni del rischio assoluto di morte cardiovascolare e ospedalizzazioni per scompenso cardiaco o infarto del miocardio, associate all’uso dei farmaci in studio se tutti i pazienti eleggibili fossero stati trattati, sono state stimate sulla base dei tassi evidenziati nei trial EMPA-REG OUTCOME e LEADER. Dall’analisi dei dati è emerso che molti soggetti con diabete di tipo 2 afferenti alle strutture specialistiche diabetologiche potrebbero beneficiare di trattamenti che nei trial clinici hanno documentato effetti positivi sugli eventi cardiovascolari, ma solo una minima quota di tali pazienti risulta effettivamente in trattamento, benché un uso diffuso di queste molecole potrebbe evitare ogni anno un numero sostanziale di decessi, infarti del miocardio e ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. È auspicabile che nel prossimo futuro l’uso appropriato di SGLT2i e GLP1 RA, in accordo con le più recenti linee guida italiane ed internazionali, possa estendersi a tutti i pazienti che possano beneficiarne, contribuendo in tal modo a ridurre l’impatto clinico, sociale ed economico delle malattie cardiovascolari fra le persone con diabete mellito di tipo 2.

PAROLE CHIAVE SGLT2 inibitori; GLP1 analoghi; eventi cardiovascolari; CVOT.

Qualità della cura in base al genere nel diabete mellito tipo 2. Le monografie degli Annali AMD 2018

L. Tonutti, G. Speroni, P. Li Volsi, E. Cimino, 5B. Brunato, A. Chiambretti, V. Manicardi, A. Napoli, M.C. Rossi, G. Russo, C. Suraci

JAMD 2019;22(4):197-209

OBIETTIVO DELLO STUDIO Valutare l’evoluzione della qualità di cura per genere nel diabete tipo 2 (DM2), in Italia, dal 2011 al 2016, considerando i nuovi Indicatori AMD in un’ottica di genere e la possibile disparità di genere nel trattamento farmacologico.

DISEGNO E METODI Per questa analisi sono stati utilizzati i dati degli Annali AMD 2018, riferiti a pazienti con DM2, seguiti nell’anno 2016 in 222 servizi di diabetologia. Questo rapporto è basato sull’analisi dei nuovi indicatori AMD 2015 – Revisione 2 del 23 gennaio 2018. Le caratteristiche della popolazione in studio e l’analisi degli indicatori sono riportati separatamente per gli uomini e le donne con DM2.

RISULTATI Si sono valutati i dati di 242.422 uomini e 184.696 donne con DM2 seguiti da 222 servizi di diabetologia nell’anno 2016. La distribuzione per sesso evidenzia una prevalenza del sesso maschile e quella per età mostra un generale invecchiamento della popolazione e un aumento della sopravvivenza, che interessa soprattutto le donne (il 3,6% degli uomini e il 6,6% delle donne con DM2 ha età > 85 anni). Il numero medio di visite per gruppo di trattamento è risultato sovrapponibile nei due sessi. Rispetto alla valutazione del 2009(pubblicata nel 2011), si è ottenuto un miglioramento di tutti gli indicatori di processo in entrambi i generi, pur se ancora lievemente a vantaggio del genere maschile. In particolare la valutazione del controllo metabolico attraverso il monitoraggio dell’emoglobina glicata riguarda la quasi totalità dei pazienti maschi e femmine (96,9 % vs 97,0 %). Meno elevata la percentuale di pazienti monitorati per profilo lipidico, funzione renale, retinopatia e screening del piede. Sono stati considerati indicatori di esito intermedio alcuni parametri rilevanti in quanto predittivi di rischio cardiovascolare: il raggiungimento dei target per i principali fattori di rischio CV è sistematicamente sfavorevole nelle donne con DM2, in particolare le donne sono più obese, hanno un peggiore compenso del diabete, soprattutto un peggiore profilo lipidico, e una maggior frequenza di riduzione del filtrato. I livelli medi di emoglobina glicosilata sono risultati lievemente più elevati nelle donne che negli uomini (7,3% ± 1,3 vs 7,2% ± 1,2) cosi anche i livelli medi di colesterolo LDL (100,2 mg/dl ± 33,4 vs 92,5 mg/dl ± 32,3) e i livelli medi di BMI (30,1 kg/m2 ± 6.1 vs 29,2 kg/m2 ± 4,9). Dal confronto con i dati del 2011 si nota lieve riduzione dei fumatori fra i maschi e lieve aumento fra le donne (20,5% vs 21,5% negli uomini, 12,2% vs 11,8% nelle donne). Complessivamente negli anni è migliorata la qualità di cura, valutata con score Q, in maniera simile per entrambi i sessi. Circa la metà dei pazienti, in entrambi i sessi, presenta uno score Q >25, quindi livelli adeguati di cura complessiva. L’utilizzo dei farmaci per il controllo della glicemia nei due sessi risulta simile anche per quanto riguarda farmaci innovativi. L’uso di statine è elevato in entrambi i sessi, lievemente a favore delle donne. L’intensità di cura per l’ipertensione è risultata migliorata in entrambi i sessi. I dati disponibili quindi non evidenziano un problema di sotto-trattamento delle donne, nonostante gli esiti peggiori. I dati di genere relativi alle complicanze micro e macroangiopatiche mostrano differenze nei due sessi, ma la qualità della registrazione dei dati sugli esiti finali, soprattutto cardiovascolari, è ancora modesta.

CONCLUSIONI L’analisi dei dati evidenzia un sensibile miglioramento della qualità dell’assistenza specialistica, con maggiore attenzione al monitoraggio dei fattori di rischio e delle complicanze, una crescita della percentuale di soggetti a target ed un più intensivo utilizzo dei farmaci in entrambi i sessi. Permangono tuttavia alcuni gap da colmare. I dati esaminati confermano che il profilo di rischio cardiovascolare è decisamente sfavorevole per le donne e che il controllo dei principali fattori di rischio cardiovascolare, seppure migliorato negli anni, resta sub-ottimale in donne e uomini. Maggiori sforzi sono necessari per ottimizzare il controllo dei vari fattori di rischio CV in entrambi i sessi e per ridurre o meglio azzerare le differenze tra i sessi. Questi dati offrono spunti importanti per la ricerca, la pratica clinica e la revisione di linee guida in un’ottica di genere, tenendo conto che vari fattori legati al sesso/ genere, quali aspetti genetici/biologici, stile di vita, aderenza alle terapie, aspetti psico-sociali, oltre alle eventuali differenze prescrittive, possono incidere sul raggiungimento dei vari outcomes.

PAROLE CHIAVE genere; DM2; indicatori AMD.

Inerzia terapeutica del Diabetologo: dall’algoritmo clinico all’algoritmo mentale. Progetto DIADEMA-AMD

M.A. Pellegrini, A. Ercoli, N. Musacchio, R. Zilich, D. Mannino

JAMD 2019;22(4):210-218

Molti pazienti diabetici di tipo 2 non raggiungono i corretti obiettivi metabolici perché non viene loro prescritta o intensificata la terapia. Il problema è noto come “inerzia terapeutica”. In letteratura si trova un’ampia scelta di metodologie atte ad analizzare il problema, ma, quasi sempre esso viene ricondotto a cause e fattori legati al contesto “esterno” del Diabetologo (es. problemi organizzativi, limitazioni di tempo e budget, resistenza del paziente) mentre il processo mentale profondo della Persona Diabetologo, le sue emozioni e il suo benessere vengono troppo spesso ignorati. Prendere coscienza del problema è il primo passo per uscire dall’impasse dell’inerzia terapeutica. Spesso, infatti, gli stessi diabetologi non sono consapevoli dei propri errori. Scopo del progetto DIADEMA è quello di approfondire i processi che sottendono le decisioni per promuoverne un reale cambiamento.

PAROLE CHIAVE inerzia terapeutica; emozioni; cambiamento; comunicazione; relazione; consapevolezza.

Scompenso cardiaco nel paziente con diabete in Campania (SCO.DIA.C.)

A. Botta, V. Carbone, G. Carella, A. Del Buono, M. De Luca, G. Di Giovanni, V. Guardasole, F. Guarnaccia, E. Lapice, E. Martedì, G. Memoli, D. Oliva, U. Oliviero, G. Romano

JAMD 2019;22(4):219-229

Scompenso Cardiaco (SC) e Diabete Mellito di tipo 2 (DMT2) sono importanti condizioni cliniche che molto spesso coesistono, influenzando reciprocamente morbilità e mortalità intra- ed extraospedaliera. Allo scopo di caratterizzare il percorso diagnostico-terapeutico correntemente utilizzato nella pratica clinica ambulatoriale in pazienti con SC e DMT2, è stato condotto uno studio osservazionale retrospettivo sul database degli ultimi 12 mesi in 8 Centri di Diabetologia della Campania. Sono stati individuati 164 pazienti affetti da SC e DMT2. Tra essi, 123 pazienti avevano una cartella clinica con dati riproducibili e sono stati reclutati per lo studio. I pazienti sono stati suddivisi in tre gruppi: il gruppo A includeva pazienti con SC a frazione di eiezione (F.E.) conservata (>50%), il gruppo B pazienti con F.E. mid-range (F.E.40-49%) ed il gruppo C pazienti con F.E. ridotta (<40%). Tutti i pazienti avevano eseguito nell’ultimo anno ECG ed Ecodopplergrafia cardiaca, che mediamente venivano ripetuti ogni 6 mesi; 41 pazienti (33% del campione) aveva eseguito anche un Holter cardiaco. Le cause più frequenti di SC sono risultate la cardiopatia ischemica e l’ipertensione arteriosa. Dopo un anno di follow up sono stati rivalutati i parametri clinici e laboratoristici della popolazione studiata e le modifiche terapeutiche.

La terapia ipoglicemizzante è risultata modificata rispetto all’arruolamento con una riduzione dell’uso di metformina, sulfaniluree, glinidi e pioglitazone; contemporaneamente si è osservato un maggior uso di gliptine, gliflozine e GLP1 AR, che coincideva con un minor ricorso a terapia insulinica.

La terapia cardiologica è risultata modificata con un maggior uso di diuretici, nitrati ed una contemporanea riduzione di ACEI e ARB, probabilmente determinata dall’utilizzo dell’associazione sacubitril/valsartan nel gruppo di pazienti a FE ridotta.

In conclusione, un approccio multidisciplinare ed integrato, che coinvolga in prima istanza Diabetologi e Cardiologi Ambulatoriali, ma anche altre figure professionali (operatori sanitari, psicologi, fisioterapisti, caregivers) operanti sul territorio, consente di migliorare l’aderenza alle linee guida nei pazienti con diabete e scompenso cardiaco, con le relative implicazioni su storia naturale prognosi.

PAROLE CHIAVE scompenso cardiaco; diabete mellito; frazione di eiezione.

Case report

Utilizzo di cellule mononucleate autologhe da sangue periferico in un caso di piede diabetico

G. Di Vieste, I. Formenti, S. Lodigiani, G. Balduzzi , B. Masserini, R. De Giglio

JAMD 2019;22(4):230-233

Un innovativo approccio terapeutico nel trattamento delle arteriopatie periferiche è rappresentato dall’impianto di cellule mononucleate da sangue periferico (PBMNC, Peripheral Blood MonoNuclear Cells), un concentrato cellulare autologo ad alta capacità angiogenica e rigenerativa utilizzato nel trattamento di pazienti con ischemia critica dell’arto. Descriviamo il caso di un paziente di 59 anni, affetto da diabete mellito tipo 2, giunto alla nostra osservazione per gangrena del I dito del piede destro. Il quadro di ischemia critica d’arto ha reso necessario un tentativo di angioplastica risultato tuttavia inefficace a causa della malattia diffusa, ostruttiva, intrattabile e calcifica dei vasi tibiali distali e dei vasi del piede. Visto il fallimento terapeutico, in paziente altrimenti candidato ad amputazione maggiore, si optava per l’utilizzo di PBMNC. Tale approccio prevede l’inoculazione in sede perilesionale e lungo gli assi vascolari dell’arto inferiore interessato di un concentrato di cellule mononucleate prelevate da sangue periferico, utilizzando un sistema di separazione a filtrazione selettiva. Il paziente veniva pertanto sottoposto ad amputazione del I dito, in gangrena, del piede destro ed a tre sedute di trattamento con PBMNC con completa guarigione della ferita chirurgica e salvataggio d’arto.

PAROLE CHIAVE Diabete mellito; ischemia critica arti inferiori; terapia con cellule mononucleate.

Documento congiunto AIMN AMD AIOM

Gestione della glicemia nei pazienti oncologici da sottoporre a FDG PET/TC

L. Evangelista , G. Rubini (AIMN), M. Gallo (AMD), S. Gori (AIOM) a nome del Gruppo di Studio Intersocietario5 “Diabete e Tumori” AMD-AIOM

JAMD 2019;22(4):234-237

Simposio – Dissipandum non est: avanzi, scarti, sprechi

Lo spreco quotidiano

S. Barbero , C. Scaffidi

JAMD 2019;22(4):238-241

Nell’economia rurale dell’Italia inizio ’900 l’idea di sprecare il cibo non aveva alcuna cittadinanza, anche se al cibo era destinato circa il 50% del reddito: oggi il cibo ne impegna solo il 10%, ma abbiamo disimparato a relazionarci con il cibo.

Il consumismo, che condiziona i nostri comportamenti anche nei confronti del cibo, è un atteggiamento di tipo culturale in base al quale le persone si sentono più o meno realizzate esclusivamente sulla base delle loro possibilità di acquisto.

Se separiamo il cibo da necessità, salute, bisogni di ognuno; se ne separiamo la produzione dai tempi delle stagioni, della natura e dalle possibilità che ha la terra di rigenerare le sue risorse; se separiamo l’atto del mangiare da quello della conoscenza di quello che si mangia; se tutte le fasi della filiera produttiva perdono la connessione tra loro, allora lo spreco non solo è inevitabile, ma addirittura viene perseguito perché funzionale al criterio del massimo profitto. Un male minore a discapito del nostro pianeta, che ci conduce a un ulteriore spreco: uno spreco di salute.

Serve quindi un cambio di passo che riguardi normative, scelte energetiche, cultura di base, educazione all’ecologia; servono inoltre mutamenti profondi nelle scale di valore, nei comportamenti individuali e collettivi. Dobbiamo tornare a considerare l’agricoltura familiare, tradizionale e di piccola scala, con i suoi sistemi integrati e le sue capacità produttive commisurate ai bisogni delle comunità e alle risorse naturali, come un volano su cui basare la svolta verso una relazione con il cibo che soddisfi i nostri bisogni senza compromettere quelli degli altri viventi, attuali e futuri.

PAROLE CHIAVE cibo; spreco; consumismo; ambiente; salute.

Dai “Fridays for future” all’economia ecologica e circolare nelle nostre case

M.C. Segrè

JAMD 2019;22(4):242-244

Gli sprechi in medicina

A. De Micheli

JAMD 2019;22(4):245-253

Lo spreco in un Servizio sanitario è ogni attività, comportamento, bene e servizio che, utilizzando risorse, non produce risultati in termini di salute, benessere o qualità della vita. Secondo l’OCSE, nelle diverse realtà, circa il 20% della spesa sanitaria apporta un contributo minimo o nullo al miglioramento della salute delle persone. Evitare gli sprechi è in teoria facile: non si spreca, laddove gli interventi sanitari siano erogati secondo un principio di appropriatezza. Sono tuttavia presenti ostacoli multipli. Lo spreco ha, infatti, cause diverse: inappropriatezza, utilizzo di interventi sanitari inefficaci, sovra- e sottoutilizzo di interventi sanitari, standard qualitativi bassi, errori medici, mancata innovazione, allocazione delle risorse errata e non motivata, complessità amministrative, scorretta gestione di dotazioni, beni e servizi, spreco di tempo, non rispetto di standard di qualità, acquisto a costi eccessivi di tecnologie e beni, progettazione incompleta o mancato completamento di opere, corruzione (truffe e abusi). Lo spreco sanitario in Italia nel 2017, pur calcolato su dati indiretti ed imprecisi, è stato stimato in 21,59 (±20%: 17,27 – 25,91) miliardi di euro, il 17-21% della spesa sanitaria pubblica. Le strategie per ridurre gli sprechi sono essenzialmente due: smettere di fare attività che non generano ritorno in termini di salute delle risorse investite; utilizzare, se esistono, alternative di efficacia e sicurezza sovrapponibili ma di costo inferiore. L’implementazione di ciò passa attraverso la ricerca mirata e la cultura del miglioramento continuo radicata nell’organizzazione e posseduta ed applicata dai decisori e da ogni operatore nel suo specifico ruolo, sanitario od amministrativo, dirigenziale od esecutivo.

PAROLE CHIAVE risorse sanitarie; allocazione delle risorse; analisi costi-benefici; uso improprio di servizi sanitari; prescrizione inappropriata.

Come non sprecare: appropriatezza in medicina

M.F. Mulas

JAMD 2019;22(4):254-261

L’idea che promuove l’autore è che il termine spreco equivale a inappropriatezza qualunque sia l’ambiente economico cui ci si riferisce. L’auspicio è che possa fungere da pungolo per quelle persone che desiderino fare scelte di lavoro più razionali ed economicamente più convenienti riducendo le occasioni di contrasto, le perdite di tempo, i contenzioni legali, i colli di bottiglia, l’incompetenza. Sono presentati due possibili approcci al tema dello spreco. Il primo rappresenta il punto di vista dell’industria, è solo apparentemente distante. Il pensiero, l’organizzazione snella richiede uno sforzo di lettura e analisi forse maggiore ma, mutatis mutandum, le aree di spreco, cioè d’inappropriatezza sono perfettamente adattabili al mondo sanitario. Il secondo nasce nel mondo sanitario, origina da un lavoro di un esperto di fama della qualità nei sistemi sanitari, individua sei categorie di spreco ed è stato ripreso nel nostro paese dalla Fondazione GIMBE. La riflessione su ciascuna categoria può permettere al medico di traslare il suo contenuto nella propria quotidianità e trarne ipotesi e stimoli per un eventuale cambiamento della pratica clinico organizzativa, in una visione di contrasto all’inappropriatezza. L’homo medicus ha bisogno continuamente di essere sollecitato ed avere elementi di valutazione per operare scelte che minimizzino, in questo caso, i comportamenti d’inappropriatezza (sprechi) prescrittiva e organizzativa.

PAROLE CHIAVE spreco; appropriatezza; lean production; engagement.

Una legge per non sprecare

M.C. Gadda

JAMD 2019;22(4):262-265

Punto di vista

Sulla Sugar Tax

R. Fornengo

JAMD 2019;22(4):266-267

Le news di AMD

Newsletter Annali AMD n. 27 
AMD Annals Newsletter n. 27

JAMD 2019;22(4):268-269

Newsletter Rete di Ricerca n. 41
AMD Research Network Newsletter n. 41

JAMD 2019;22(4):270-272

Annali Monografie

Monografie Annali AMD

L’archivio delle monografie degli Annali AMD.

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